Corte Costituzionale: la legge n. 241/90 non si tocca

Dott. Angelo Lucarella,  
2015-05-29 19:11:05

La carenza di motivazione del provvedimento non è sempre motivo di annullamento” 

La Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 92 del 29 aprile 2015 ha deciso per l’inammissibilità della questione promossa dalla Corte dei Conti della Regione Sicilia e relativa alla presunta illegittimità costituzionale dell’art. 21 - octies, co. 2, primo periodo, della legge n. 241/90.

La questione trae origine da un procedimento pendente innanzi alla Corte dei Conti siciliana, sez. giurisdizionale, avente ad oggetto l’istanza di annullamento dell’atto con cui la Direzione Regionale dei servizi di quiescenza del Fondo Regionale pensionistico aveva comunicato ad una pensionata “l’avvio del procedimento” per il recupero per somme indebitamente percepite dalla stessa e pagate dall’Ente.

La pensionata, in sede di opposizione, lamentava nel merito la carenza di motivazione in fatto ed in diritto della comunicazione di avvio del procedimento; invece, processualmente, lamentava che l’amministrazione regionale avrebbe fornito, con la memoria di costituzione in giudizio, delle motivazioni integrative della impugnata comunicazione sul presupposto dell’art. 21 - octies della legge n. 241/90.

L’art. 21 - osties, co. 2, primo periodo, della legge n. 241/90 recita: “Non e' annullabile il provvedimento adottato  in  violazione  di norme sul procedimento o sulla  forma  degli  atti  qualora,  per  la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il  suo  contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello  in  concreto adottato”. 

Secondo la teoria proposta dalla ricorrente, tale disposizione di legge darebbe all’amministrazione resistente un indebito vantaggio poiché consentirebbe l’integrazione in sede processuale della motivazione del provvedimento amministrativo, anche dopo un rilevante periodo di tempo.

Perciò il giudice remittente ha sollevato la questione innanzi alla Corte Costituzionale in quanto l’art. 21 - osties, co. 2, primo periodo, della legge n. 241/90 si porrebbe in contrasto con:

-gli artt. 24, 97 e 113 della Cost., atteso che “l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi costituisce un corollario dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione”;

-l’art. 117 della Cost., poiché la norma in questione “contravverrebbe i principi dell’ordinamento comunitario come interpretati dalla Corte di Giustizia europea, la quale avrebbe affermato l’impossibilità di integrare la motivazione di un provvedimento amministrativo nel corso del processo”;

-l’art. 3 della Cost., per la disparità di trattamento che ne conseguirebbe, in termini di tutela giurisdizionale, con l’effetto che il giudice, in violazione del principio di separazione dei poteri, potrebbe sostituirsi all’amministrazione integrando la motivazione dell’atto.

La Consulta, nell’esaminare la questione sollevata, ha riscontrato innanzitutto che “l’ordinanza di remissione muove da una incompleta ricostruzione del quadro giuridico” e che comunque, secondo l’indirizzo formatosi in materia di giudizio pensionistico, l’atto della P.A., nella fattispecie proposta, ha natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo avviato in favore dell’assicurato e perciò ne deriva che l’inosservanza, da parte dell’Istituto previdenziale, delle regole proprie del procedimento, come più in generale, delle prescrizioni concernenti il giusto procedimento, dettate dalla legge n. 241/90 o dai precetti di buona fede e correttezza, “non dispiega incidenza alcuna sul rapporto obbligatorio avente ad oggetto quella prestazione”.

Inoltre, secondo la Corte Costituzionale, la remittente A.G. non spiega se e come superare l’impostazione giurisprudenziale che esclude l’incidenza delle violazioni procedimentali o di altre regole derivanti dalla legge n. 241/90 sul rapporto obbligatorio di fonte legale avente per oggetto prestazioni pensionistiche e pertanto tale carenza motivazionale “preclude ogni verifica per la Consulta stessa in ordine alla rilevanza della questione prospettata”.

L’esame della Consulta, comunque, non si è limitato alla carenza di motivazione in ordine al requisito della rilevanza, ma altresì, nel merito, riguardo al fatto che quand’anche si dovesse ritenere la norma impugnata applicabile nel tipo di contenzioso in esame (giudizio pensionistico), la remittente non ha preso in esame il fatto che “il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o a vizi di forma” se  la P.A. dimostra che l’atto dispositivo non sarebbe stato diverso da quello  in  concreto adottato.

Sostanzialmente però la Consulta bacchetta, istituzionalmente parlando, il giudice remittente poiché quest’ultimo si è “sottratto al doveroso tentativo di sperimentare l’interpretazione costituzionalmente orientata in applicazione al principio secondo cui una disposizione di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme ai parametri costituzionali invocati”.

Su queste premesse la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione sollevata dalla Corte dei Conti siciliana, la quale avrebbe teso la richiesta di intervento della Consulta ad ottenere un improprio avallo ad una determinata interpretazione della norma censurata.

 





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